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Janina Turek: elogio delle piccole cose

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Settecentoquarantotto quaderni annotati ogni giorno, per oltre cinquant'anni, senza tralasciare neppure un dettaglio. Janina Turek ha registrato ogni fatto della sua vita nei suoi diari. Non grandi eventi o pensieri ma piccole cose: telefonate, programmi visti in televisione e i cibi consumati in occasione di ogni pasto della giornata

La vita è fatta di piccole cose. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Eppure, troppo spesso, la fretta, la routine e tutte le preoccupazioni che affollano le nostre giornate ci impediscono di apprezzarle davvero. Mangiamo, dormiamo e parliamo, lo facciamo continuamente, ripetiamo queste azioni senza nemmeno accorgercene. Proviamo a chiederci, almeno una volta, quanti di quei pasti, di quei sogni e di quei discorsi restano custoditi nella nostra memoria?  Una domanda come questa, probabilmente, ha provato a farsela anche Janina Turek,

La storia di questa donna polacca è affascinante, commovente e incredibilmente reale. Daria Deflorian - attrice di grande talento e vincitrice del premio Ubu - l’ha scoperta quasi per caso sfogliando le pagine del quotidiano La Repubblica in una domenica pomeriggio come tante. Il reportage del giornalista Mariusz Szczygiel l’ha colpita immediatamente. Tanto che, insieme al collega Antonio Tagliarini, ne ha tratto lo spettacolo teatrale “Reality”.

Telefonate ricevute, visite annunciate o inattese, regali, programmi della televisione e persone viste di sfuggita: Janina, per oltre cinquant’anni, ha annotato ogni cosa sui suoi diari. Sono settecentoquarantotto i quaderni, scritti all’insaputa di tutti, che raccolgono i suoi minuziosi resoconti. Un’esistenza scrupolosamente registrata in ogni suo momento, dettaglio, fatto. In tutte quelle pagine, ritrovate all’indomani della sua morte dalla figlia, sembra non esserci spazio per le emozioni, le riflessioni o i grandi avvenimenti. Un paio di calzini elasticizzati ritrovati per strada o un telecomando che cade dalla poltrona: sono questi gli eventi che la donna annota e numera con un’attenzione instancabile e impressionante fino alla sera che precede il giorno della sua morte.

Tre pasti consumati regolarmente ogni giorno: colazione, pranzo e cena. Per oltre cinquant’anni, la casalinga di Cracovia ha diligentemente riportato sui suoi diari il contenuto di tutto quei piatti. Non si parla di pietanze raffinate dal sapore indimenticabile né di ricette elaborate e preparate per occasioni di particolare importanze. Sono pietanze semplici e nutrienti quelle che Janina trascrive con la sua penna a inchiostro blu, cibi della tradizione popolare della cucina polacca. Nella sezione dedicata agli eventi speciali, per esempio, trova spazio il ricordo di un panino mangiato in un parcheggio nel corso di un viaggio. Tra i regali, invece, si legge di un mandarino regalatole in treno da una sconosciuta. Una tazza di caffè sorseggiata la prima mattina dopo la separazione dal marito, le barbabietole rosse mangiate quasi ogni sera davanti alla televisione, il tempo interminabile e vuoto di alcune domeniche riempito raccogliendo le briciole di pane sul tavolo: ogni alimento ha il potere di contenere un’emozione, racchiudere un mondo, raccontare una storia, riflettere uno stato d’animo.  

Ogni spettatore dello spettacolo e tutti i lettori di questa storia restano esterrefatti nell’osservare l’impegno con cui la donna ha portato a termine questa missione e si chiedono quale sia il senso di questa scelta. Il motivo non ci è noto e, probabilmente, non è nemmeno così importante trovarne uno. Quello che ci colpisce in questa vicenda è la battaglia quotidiana che Janina ha combattuto contro il grigiore di una routine che rischia di convincerci a dar per scontate le piccole cose che, al contrario, ci riempiono la vita e sanno renderla unica.  

di Serena Cirini


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