La birra artigianale fatta con l'uva. Da provare!
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Birrai appassionati di vino e produttori che amano bere la birra. Confusione di ruoli? No, affatto. I due mondi si stanno sempre più avvicinando. La prova sta in alcune birre a base di sapa di Cannonau, Malvasia o Nasco, uva di Timorasso o Croatina, vinacce di Moscato o Fiano e acini di Barbera pigiata
Il rapporto tra vino e birre artigianali sta cambiando molto rapidamente. Basta guardare a quanto è accaduto allo scorso Vinitaly. Entrata in punta di piedi, inizialmente nascosta in pochi stand di grandi distributori, da qualche edizione, la birra ha un ruolo di primo piano nel padiglione Sol & Agrifood.
E non è solo la congiuntura economica ad aver spinto verso questa scelta, ma hanno concorso tanti fattori; in particolare, alcune cantine del vino, si sono attrezzate per produrre anche birra e molti birrifici hanno creato dei veri e propri anelli di congiunzione tra i due mondi. In un paese votato al vino come l’Italia, gli antichi greci chiamavano la nostra penisola Enotria (terra del vino), è inevitabile che anche i birrai conoscano e apprezzino la bevanda di Bacco, ed è quindi naturale che molti di loro abbiano cercato di dar vita in alcune delle loro creazioni a sapori, profumi e sensazioni che fanno parte della loro sfera di degustazione.
La birra concede molte trasgressioni agli ingredienti base (acqua, malto d’orzo, luppolo e lievito), che già permettono una variante pressoché infinita di realizzazioni e sapori: si possono utilizzare spezie, erbe, frutti, bacche, fiori e tutto ciò che stimola la fantasia di chi scrive la ricetta. Ecco che, l’arrivo dell’uva, diventa un passo ovvio, per molti ma non per tutti: chi si avventura su questa sponda deve fare attenzione a restare nel campo della birra e a non sconfinare nel mondo dei vini naturali; le note vinose devono sì caratterizzare la birra realizzata, ma non dominare incontrastate.
Ogni birraio poi ci mette del suo; alcuni hanno scelto di utilizzare la sapa, il mosto cotto di uva, ed è il caso del sardo Nicola Perra, fondatore e birraio del birrificio Barley di Maracalagonis, in provincia di Cagliari. È lui il pioniere nell’utilizzo della sapa, cioè del mosto di uva cotto, per caratterizzare alcune sue creazioni, oggi conosciute in Europa come in America: la BB10 (sapa di Cannonau), la BB9 (sapa di Malvasia) e la BB Evò (sapa di Nasco), per comiciare, e altre che lentamente stanno vedendo la luce. Altri hanno scelto di usare direttamente l’uva, come Riccardo Franzosi, deus ex machina del Birrificio Montegioco dell’omonimo paese dell’alessandrino, che ha sperimentato tanto l’uso dell’uva quanto del mosto per poi tornare al frutto in due sue creazioni, la Tibir (uva Timorasso) e la Open Mind (uva Croatina). Altri usano con maestria le vinacce, come il pugliese Donato di Palma del birrificio Birranova a Triggianello di Conversano, nel barese che ci delizia con la sua Moscata (vinacce di Moscato Passito di Trani, che purtroppo quest’anno, a causa della pessima estate non ha visto la luce) e la Ruffiana (vinacce, non passite, di Fiano minutolo).
Valter Loverier, fondatore di Loverbeer di Marentino, in provincia di Torino, usa il mosto di uva Freisa (non cotto) nella sua D’Uva Beer e raggiunge l’apice, sul filo del rasoio, creando un’altra birra particolarissima, la BeerBera, che fermenta grazie alla microflora presente nell’uva Barbera, piagiata e posata sul fondo di un fermentatore di legno, in cui è aggiunto il mosto della birra.
Con queste creazioni non solo gli appassionati di birre artigianali vanno a nozze, ma anche quelli che “io a tavola solo il vino” restano spiazzati e scoprono nuovi abbinamenti e nuove sensazioni. Insomma, la birra artigianale non è più la sorella minore del vino né, tantomeno, la cugina sfortunata da guardare dall’alto in basso!
di Andrea Camaschella
Il rapporto tra vino e birre artigianali sta cambiando molto rapidamente. Basta guardare a quanto è accaduto allo scorso Vinitaly. Entrata in punta di piedi, inizialmente nascosta in pochi stand di grandi distributori, da qualche edizione, la birra ha un ruolo di primo piano nel padiglione Sol & Agrifood.
E non è solo la congiuntura economica ad aver spinto verso questa scelta, ma hanno concorso tanti fattori; in particolare, alcune cantine del vino, si sono attrezzate per produrre anche birra e molti birrifici hanno creato dei veri e propri anelli di congiunzione tra i due mondi. In un paese votato al vino come l’Italia, gli antichi greci chiamavano la nostra penisola Enotria (terra del vino), è inevitabile che anche i birrai conoscano e apprezzino la bevanda di Bacco, ed è quindi naturale che molti di loro abbiano cercato di dar vita in alcune delle loro creazioni a sapori, profumi e sensazioni che fanno parte della loro sfera di degustazione.
La birra concede molte trasgressioni agli ingredienti base (acqua, malto d’orzo, luppolo e lievito), che già permettono una variante pressoché infinita di realizzazioni e sapori: si possono utilizzare spezie, erbe, frutti, bacche, fiori e tutto ciò che stimola la fantasia di chi scrive la ricetta. Ecco che, l’arrivo dell’uva, diventa un passo ovvio, per molti ma non per tutti: chi si avventura su questa sponda deve fare attenzione a restare nel campo della birra e a non sconfinare nel mondo dei vini naturali; le note vinose devono sì caratterizzare la birra realizzata, ma non dominare incontrastate.
Ogni birraio poi ci mette del suo; alcuni hanno scelto di utilizzare la sapa, il mosto cotto di uva, ed è il caso del sardo Nicola Perra, fondatore e birraio del birrificio Barley di Maracalagonis, in provincia di Cagliari. È lui il pioniere nell’utilizzo della sapa, cioè del mosto di uva cotto, per caratterizzare alcune sue creazioni, oggi conosciute in Europa come in America: la BB10 (sapa di Cannonau), la BB9 (sapa di Malvasia) e la BB Evò (sapa di Nasco), per comiciare, e altre che lentamente stanno vedendo la luce. Altri hanno scelto di usare direttamente l’uva, come Riccardo Franzosi, deus ex machina del Birrificio Montegioco dell’omonimo paese dell’alessandrino, che ha sperimentato tanto l’uso dell’uva quanto del mosto per poi tornare al frutto in due sue creazioni, la Tibir (uva Timorasso) e la Open Mind (uva Croatina). Altri usano con maestria le vinacce, come il pugliese Donato di Palma del birrificio Birranova a Triggianello di Conversano, nel barese che ci delizia con la sua Moscata (vinacce di Moscato Passito di Trani, che purtroppo quest’anno, a causa della pessima estate non ha visto la luce) e la Ruffiana (vinacce, non passite, di Fiano minutolo).
Valter Loverier, fondatore di Loverbeer di Marentino, in provincia di Torino, usa il mosto di uva Freisa (non cotto) nella sua D’Uva Beer e raggiunge l’apice, sul filo del rasoio, creando un’altra birra particolarissima, la BeerBera, che fermenta grazie alla microflora presente nell’uva Barbera, piagiata e posata sul fondo di un fermentatore di legno, in cui è aggiunto il mosto della birra.
Con queste creazioni non solo gli appassionati di birre artigianali vanno a nozze, ma anche quelli che “io a tavola solo il vino” restano spiazzati e scoprono nuovi abbinamenti e nuove sensazioni. Insomma, la birra artigianale non è più la sorella minore del vino né, tantomeno, la cugina sfortunata da guardare dall’alto in basso!
di Andrea Camaschella