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Cucinare con il vino: il salmì, una ricetta vintage

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Il vino rosso è un ottimo ingrediente anche per arricchire piatti e pietanze, non solo come accompagnamento di una portata.  Nell’antichità, il vino rosso nella cucina medievale era utilizzato per un particolare tipo di marinatura, il salmì. Questa è una speciale preparazione gastronomica dedicata alle carni rosse, o alla selvaggina, le carni nere. La lepre in salmì è una delle ricette più note, accompagnata da polenta e un buon calice di vino rosso.
 

ll termine salmì deriva dal latino sal, è comparso a inizio Ottocento e indica un particolare metodo di cottura, soprattutto della cacciagione. È un metodo di cottura diffuso specialmente in Italia settentrionale, soprattutto Piemonte e Lombardia.
 
In generale, per cucinare in salmì sono previste tre fasi:

  • la marinatura per ventiquattro ore della carne in vino rosso, a cui volendo aggiungere ortaggi e spezie;
  • la rosolatura della carne scolata con un condimento grasso (un tempo burro, strutto o pancetta, ma anche l’olio va benissimo)
  • la bagnatura con la marinata filtrata e con brodo.

Per un ottimo piatto autunnale, basta prendere il pezzo di carne prescelto (manzo, lepre, cervo, ecc…) e coprirlo con vino rosso, assieme eventualmente anche a verdure di accompagnamento, che possono essere aglio, cipolla, sedano, carote, ma anche foglie di alloro o bacche di ginepro o grani di pepe. La carne resta immersa per 24 ore. A questo punto, si toglie la carne, si filtra il vino  con le verdure e si porta a bollore. In questo modo il vino ha assorbito il siero della carne rossa. La schiuma bianca che si forma man mano che il liquido bolle, va tolta durante la cottura con la schiumarola.
 
A questo punto, in un’altra pentola, si fa un soffritto con verdure tritate, la carne, e si aggiunge il vino rosso precedentemente bollito per continuare la cottura assieme.
 
La carne, fatta a pezzetti e tenuta a bagno nel vino, viene poi cotta in un sugo ottenuto con olio, verdure e aromi vari. La procedura un tempo era fatta anche per mascherare carni e tagli non proprio freschi e pregiati, ma ancora oggi è un buon metodo per gustare un piatto di carne saporito, togliere il sapore di selvatico dalla selvaggina, riscoprire il piacere di una cottura lenta.
 
La cottura infatti avviene a fuoco lento e a pentola coperta. Al termine della cottura la salsa viene passata, ridotta ed eventualmente arricchita, in modo diverso a seconda delle località: alcuni aglio, o altre spezie, i funghi, i tartufi. Il vantaggio della cottura col vino in questa maniera è che al piatto finale resterà maggiormente la parte aromatica del vino e meno la parte amara e alcolica.

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In questo modo, grazie alla riduzione del vino prima che si messo a contatto con la carne in cottura, si evitano punte di alcol e di amaro che possono avvertirsi se si utilizza l’altra tecnica, quella di sfumare con vino fresco un piatto. Alcol, tannini e una certa acidità così possono persistere più a lungo, anche quando si parla di risotti ( per saperne di più, guarda la prima puntata dove parliamo appunto di risotti e vino bianco).

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Una tecnica di cottura da copiare anche per selvaggina o cacciagione e per molte altre preparazioni a base di carne, come ad esempio il brasato. Da provare quindi a mettere una riduzione di vino a cuocere anzichè versarlo direttamente dalla bottiglia.
 
La cucina col vino apre anche un altro capitolo: quello del portafogli. Se è vero che molti magari non se la sentono di “sacrificare” ad esempio una bottiglia di Barolo per un brasato, è anche vero che se avete investito in un buon pezzo di carne è meglio non “rovinarla con un vino scadente. La scelta, come sempre, è questione di buon gusto, in ogni senso.
 

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