Presentato il primo PIQ ? Prodotto interno qualità sulla filiera italiana dell'olio
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Centodue indicatori per una definizione di qualità che copre l’intera filiera, superando la semplice analisi organolettica per restituire una visione di insieme sulla produzione di olio in Italia
È stato presentato a Milano nel corso di un convegno dal titolo “L’olio italiano e la sfida della qualità – Il PIQ della filiera oleica: per identificare, misurare, difendere” il primo PIQ, Prodotto interno qualità sulla filiera italiana dell’olio. Una ricerca messa in campo da Fondazione Symbola e CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – con la collaborazione di Coldiretti e Unaprol, che costituisce il più completo set informativo sulle diverse fasi produttive dell’olio. L’obiettivo è infatti quello di restituire una visione di insieme sull’intera filiera, superando una definizione di qualità basata sulla semplice analisi organolettica del prodotto. Grazie ai centodue indicatori, è stato infatti possibile prendere in giusta considerazione anche altri fattori, quali ad esempio: l’attenzione verso l’ambiente, la valorizzazione del capitale umano, la gestione dei rifiuti e delle risorse, la riduzione dell’utilizzo di fitofarmaci, l’adozione di particolari certificazioni e il rispetto dei parametri di qualità salutistica.
Uno sguardo che attraversa i diversi passaggi dal campo alla tavola, per offrire interessanti spunti di riflessione. Se da un lato possiamo dire che il 39,2% della produzione nazionale si rivolge stabilmente alla qualità, si amplia la forbice con il 60,5% del totale che è di basso livello. Emerge quindi una situazione in cui, nonostante l’Italia copra da sola il 20% della produzione comunitaria e l’Europa mantenga il primato mondiale, non mancano i segnali di allarme. Nel 2014, per far fronte ad un calo del 35% dei raccolti nazionali, è aumentato del 38% l’olio di importazione. A ciò si aggiunge che, negli ultimi anni, i costi di fitofarmaci e fertilizzanti sono aumentati mentre il prezzo di vendita delle olive si è ridotto. Per questo motivo molte aziende sono state costrette ad operare in una situazione di stress, davanti alla quale diventa più facile prediligere la quantità piuttosto che la qualità. Tale clima aumenta anche il rischio di cedere alle tentazioni adottando soluzioni al di fuori delle regole. A testimonianza di ciò i sequestri di oli e grassi operati dai Carabinieri dei NAS hanno subìto una vera e propria impennata, crescendo dal 2007 al 2014 del +483% fino a raggiungere il valore economico di sette milioni e mezzo di euro.
Tra i dati presentati giovedì alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Maurizio Martina, ci sono anche alcune note positive come l’aumento delle aziende che possono vantare la certificazione biologica, il contenimento dei costi di consumo dell’acqua e la crescita della quota di olio recuperato sul totale distribuito. Segnali positivi dunque, che evidenziano come la via da percorrere sia quella di stimolare l’adozione di strategie rivolte alla riduzione della produzione in un’ottica di qualità. Ed è proprio questa la finalità che domina il PIQ olio, che potrà fungere da valido strumento di trasparenza, informazione e valutazione tanto per gli enti istituzionali deputati al controllo quanto per le imprese del settore. Un altro punto fondamentale è la scarsa competenza dei consumatori in materia di olio. I dati rilevati sul web nel 2013 da Voice from the Blogs per PIQ olio – prodotti attraverso il monitoraggio analitico di quasi due milioni di post tra blog, news, forum e social network – rivelano tra il grande pubblico una preoccupante carenza informativa. Sebbene prevalga in larga maggioranza un sentiment positivo nei confronti dell’olio (94% dei contenuti in italiano e 80% di quelli in inglese), il 12,8% degli utenti rivela di utilizzare abitualmente “un olio qualsiasi” mentre solamente il 3,7% delle persone avvicina l’olio extravergine di oliva alla frittura, preparazione per la quale è particolarmente idoneo. Anche tra gli interventi che lasciano trasparire un atteggiamento negativo la disinformazione gioca un ruolo non trascurabile, nel 30% dei casi, infatti, la percezione negativa è giustificata dall’errata convinzione che l’extravergine di oliva “non è sano e fa ingrassare”.
Risulta quindi di vitale importanza aumentare la conoscenza del prodotto presso il pubblico dei consumatori, e in questo il PIQ olio potrebbe risultare particolarmente utile. Dando a tutti la possibilità di discriminare le produzioni in base alla qualità, è auspicabile il costituirsi di una domanda più consapevole e, di conseguenza, di un’offerta di qualità superiore.
di Simone Filoni
È stato presentato a Milano nel corso di un convegno dal titolo “L’olio italiano e la sfida della qualità – Il PIQ della filiera oleica: per identificare, misurare, difendere” il primo PIQ, Prodotto interno qualità sulla filiera italiana dell’olio. Una ricerca messa in campo da Fondazione Symbola e CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – con la collaborazione di Coldiretti e Unaprol, che costituisce il più completo set informativo sulle diverse fasi produttive dell’olio. L’obiettivo è infatti quello di restituire una visione di insieme sull’intera filiera, superando una definizione di qualità basata sulla semplice analisi organolettica del prodotto. Grazie ai centodue indicatori, è stato infatti possibile prendere in giusta considerazione anche altri fattori, quali ad esempio: l’attenzione verso l’ambiente, la valorizzazione del capitale umano, la gestione dei rifiuti e delle risorse, la riduzione dell’utilizzo di fitofarmaci, l’adozione di particolari certificazioni e il rispetto dei parametri di qualità salutistica.
Uno sguardo che attraversa i diversi passaggi dal campo alla tavola, per offrire interessanti spunti di riflessione. Se da un lato possiamo dire che il 39,2% della produzione nazionale si rivolge stabilmente alla qualità, si amplia la forbice con il 60,5% del totale che è di basso livello. Emerge quindi una situazione in cui, nonostante l’Italia copra da sola il 20% della produzione comunitaria e l’Europa mantenga il primato mondiale, non mancano i segnali di allarme. Nel 2014, per far fronte ad un calo del 35% dei raccolti nazionali, è aumentato del 38% l’olio di importazione. A ciò si aggiunge che, negli ultimi anni, i costi di fitofarmaci e fertilizzanti sono aumentati mentre il prezzo di vendita delle olive si è ridotto. Per questo motivo molte aziende sono state costrette ad operare in una situazione di stress, davanti alla quale diventa più facile prediligere la quantità piuttosto che la qualità. Tale clima aumenta anche il rischio di cedere alle tentazioni adottando soluzioni al di fuori delle regole. A testimonianza di ciò i sequestri di oli e grassi operati dai Carabinieri dei NAS hanno subìto una vera e propria impennata, crescendo dal 2007 al 2014 del +483% fino a raggiungere il valore economico di sette milioni e mezzo di euro.
Tra i dati presentati giovedì alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Maurizio Martina, ci sono anche alcune note positive come l’aumento delle aziende che possono vantare la certificazione biologica, il contenimento dei costi di consumo dell’acqua e la crescita della quota di olio recuperato sul totale distribuito. Segnali positivi dunque, che evidenziano come la via da percorrere sia quella di stimolare l’adozione di strategie rivolte alla riduzione della produzione in un’ottica di qualità. Ed è proprio questa la finalità che domina il PIQ olio, che potrà fungere da valido strumento di trasparenza, informazione e valutazione tanto per gli enti istituzionali deputati al controllo quanto per le imprese del settore. Un altro punto fondamentale è la scarsa competenza dei consumatori in materia di olio. I dati rilevati sul web nel 2013 da Voice from the Blogs per PIQ olio – prodotti attraverso il monitoraggio analitico di quasi due milioni di post tra blog, news, forum e social network – rivelano tra il grande pubblico una preoccupante carenza informativa. Sebbene prevalga in larga maggioranza un sentiment positivo nei confronti dell’olio (94% dei contenuti in italiano e 80% di quelli in inglese), il 12,8% degli utenti rivela di utilizzare abitualmente “un olio qualsiasi” mentre solamente il 3,7% delle persone avvicina l’olio extravergine di oliva alla frittura, preparazione per la quale è particolarmente idoneo. Anche tra gli interventi che lasciano trasparire un atteggiamento negativo la disinformazione gioca un ruolo non trascurabile, nel 30% dei casi, infatti, la percezione negativa è giustificata dall’errata convinzione che l’extravergine di oliva “non è sano e fa ingrassare”.
Risulta quindi di vitale importanza aumentare la conoscenza del prodotto presso il pubblico dei consumatori, e in questo il PIQ olio potrebbe risultare particolarmente utile. Dando a tutti la possibilità di discriminare le produzioni in base alla qualità, è auspicabile il costituirsi di una domanda più consapevole e, di conseguenza, di un’offerta di qualità superiore.
di Simone Filoni