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Il blend non è peccato ma un'opportunità

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Il termine blend viene spesso sminuito ed erroneamente ridotto a sinonimo di bassa qualità. Scopriamo insieme i principali tabù in materia e facciamo il punto su un'arte, tipicamente italiana, in realtà di grande livello e complessità

Si sente sempre più spesso parlare di blend: nel mondo del vino, nel caffè, nel tè e anche nell’olio da olive. La traduzione italiana di “miscela” non sempre viene percepita come una qualità del prodotto, ma sovente porta impropriamente con sé un’accezione negativa. 

A sfatare questo e altri miti sull’arte del blending, ci ha pensato un incontro a Olio Officina Food Festival, evento organizzato a Milano dal 22 al 24 gennaio 2015. Il dibattito, dall’inequivocabile titolo Il blend non è peccato. Chi ha paura del blend?, ha visto l’intervento di nomi di spicco del settore oleario italiano tra i quali Giovanni Zucchi, autore del libro L’olio non cresce sugli alberi. L’arte del blending: come nasce un olio di grande qualità (183 pagine, € 15,00, Fausto Lupetti Editore).

Il blending - la miscelazione di oli diversi per ottenere prodotti che rispecchino un determinato profilo sensoriale - non risponde, infatti, solamente a esigenze di carattere industriale: se ben sfruttato ha piuttosto l’importante funzione di creare un olio che soddisfi il gusto del consumatore e assecondi imprescindibili criteri di qualità.

Tuttavia se nel settore vitivinicolo il blend è stato valorizzato, ponendolo al centro della comunicazione quale tratto caratteristico della produzione, ciò non è avvenuto, invece, per l’olio extra vergine di oliva. Ancora oggi in Italia, la mescolanza di oli diversi viene percepita quale sinonimo di dubbia provenienza. Pregiudizio del resto di non poco conto, dal momento che, se inserito in una strategia di valorizzazione, il blend è un’arma fondamentale per la creazione di un prodotto completo ed equilibrato.

Grazie alle abilità di artigiani del gusto come i blend master, è possibile difatti enfatizzare le peculiarità desiderate di ogni cultivar quali il piccante, l’amaro o il fruttato. A tal proposito è giusto ricordare in particolare come il blending di oli diversi sia pratica diffusa anche nei prodotti monovarietali, altrimenti detti monocultivar.

La miscelazione non è, quindi, una sofisticazione e spesso avviene già in frantoio, quando si ricevono olive di diverse varietà. Si tratta di un’arte antica, nella quale noi italiani siamo da sempre maestri e che potrebbe costituire un vantaggio competitivo non trascurabile per il nostro paese, nell’approccio ai mercati internazionali. Parliamo di arte e di maestria artigianale poiché il ruolo del selezionatore di olio di oliva non può seguire ricette scritte, le qualità organolettiche degli oli variano non solo in base alle diverse tipologie ma anche a seconda di variabili temporali e geografiche difficili da prevedere a priori.

Per questo l’assaggiatore deve di volta in volta procedere a un’analisi sensoriale approfondita, in modo da individuare le caratteristiche di quell’olio in quel preciso momento, solo successivamente potrà dosare i differenti oli, facendo in modo che il profilo sensoriale del prodotto finale si avvicini il più possibile a quello desiderato. Nessuna ricetta magica o formula segreta, insomma solo tanta abilità e perizia nello svolgere un lavoro, quello del blend master, difficile e molto spesso troppo sottovalutato.

Parlare di blending non è quindi peccato, ciò che conta è un’impronta qualitativa costante che caratterizzi il prodotto durante l’intera filiera produttiva.

di Simone Filoni

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