Il paesaggio siamo noi. Lo insegna Philippe Daverio
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Una lectio magistralis di Philippe Daverio a Villa della Torre, edificio di rappresentanza di Allegrini, in Valpolicella per ribadire un concetto apparentemente semplice, ma che, se davvero assimilato da ciascuno, potrebbe rivoluzionare la nostra immagine nel mondo: il paesaggio lo costruiamo solo noi
«Il paesaggio non è fatto soltanto da componenti agricole, ma è un misto di pratiche, complessità, sudore umano e biodiversità». Ha cominciato così Philippe Daverio, la sua lectio magistralis intitolata “Il paesaggio nell’arte tra incanto e dolore”, tenuta a Villa della Torre, la prestigiosa sede di Allegrini, a conclusione del ciclo di incontri dedicati alle bellezze artistiche italiane dalla casa vinicola di Fumane di Valpolicella (Verona).
Daverio,critico d’arte italiano conosciuto in tutto il mondo per la sua capacità di spiegare l’arte in maniera fruibile e suscitando grande curiosità, ha ribadito un concetto importantissimo per chiunque lavori nel settore agricolo: il nostro paesaggio è antropizzato e sono stati proprio l’uomo e il suo lavoro a renderlo tale. Questo paesaggio costituisce l’identità di un popolo. «La Francia, non appena passata alla Monarchia Costituzionale lo definiva patrimonio, con una leggera differenza dal concetto britannico legato ad un’idea di eredità che qualora non venga trasmessa andrebbe a costituire una irresponsabilità antropologica, confermata dal fatto che il passato ha un senso se serve a costruire il futuro. Dimostrando rispetto per il passato, abbiamo quindi il pieno diritto, ed il sicuro dovere, di intervenire sul nostro paesaggio affinché possa vivere e rivivere, dobbiamo avere il coraggio di disegnarlo nuovamente, seguendo anche quel carattere variabile della natura stessa, che fisiologicamente muta e si modifica. La strada è quella delle distruzioni e delle grandi ricostruzioni», ha continuato il critico.
Conoscere il nostro paesaggio, quindi, ci metterebbe nelle condizioni di valorizzarlo integrando i luoghi con gli edifici presenti in un unico percorso mentale. In poche parole, sarebbe utile a tutti i cittadini sentire come propri certi luoghi fatti dalla natura e dal lavoro dell’uomo e saperli tutelare e, magari, anche raccontare.
di Elena Caccia
«Il paesaggio non è fatto soltanto da componenti agricole, ma è un misto di pratiche, complessità, sudore umano e biodiversità». Ha cominciato così Philippe Daverio, la sua lectio magistralis intitolata “Il paesaggio nell’arte tra incanto e dolore”, tenuta a Villa della Torre, la prestigiosa sede di Allegrini, a conclusione del ciclo di incontri dedicati alle bellezze artistiche italiane dalla casa vinicola di Fumane di Valpolicella (Verona).
Daverio,critico d’arte italiano conosciuto in tutto il mondo per la sua capacità di spiegare l’arte in maniera fruibile e suscitando grande curiosità, ha ribadito un concetto importantissimo per chiunque lavori nel settore agricolo: il nostro paesaggio è antropizzato e sono stati proprio l’uomo e il suo lavoro a renderlo tale. Questo paesaggio costituisce l’identità di un popolo. «La Francia, non appena passata alla Monarchia Costituzionale lo definiva patrimonio, con una leggera differenza dal concetto britannico legato ad un’idea di eredità che qualora non venga trasmessa andrebbe a costituire una irresponsabilità antropologica, confermata dal fatto che il passato ha un senso se serve a costruire il futuro. Dimostrando rispetto per il passato, abbiamo quindi il pieno diritto, ed il sicuro dovere, di intervenire sul nostro paesaggio affinché possa vivere e rivivere, dobbiamo avere il coraggio di disegnarlo nuovamente, seguendo anche quel carattere variabile della natura stessa, che fisiologicamente muta e si modifica. La strada è quella delle distruzioni e delle grandi ricostruzioni», ha continuato il critico.
Conoscere il nostro paesaggio, quindi, ci metterebbe nelle condizioni di valorizzarlo integrando i luoghi con gli edifici presenti in un unico percorso mentale. In poche parole, sarebbe utile a tutti i cittadini sentire come propri certi luoghi fatti dalla natura e dal lavoro dell’uomo e saperli tutelare e, magari, anche raccontare.
di Elena Caccia