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A Trieste la Pasqua si festeggia con la tradizionale pinza triestina, un pandolce agrumato dal sapor...
Per il lievitino
Per l’impasto
Per spennellare
Iniziate preparando per prima cosa il lievitino, versando il una ciotola la farina setacciata, il lievito disidratato, l’acqua e impastate brevemente.
Dopo aver ottenuto un impasto un po’ appiccicoso, coprite con la pellicola e lasciate lievitare fin quando non raddoppierà di volume (circa 2 ore).
Cominciate ad impastare con il gancio non appena avrà iniziato ad incordarsi aggiungete il sale e 65 g di burro a temperatura ambiente e continuate ad impastare.
Lavorate per pochi minuti l’impasto sulla spianatoia fino a renderlo liscio.
Poi poi riponetelo in un recipiente, coprite con pellicola e lasciatelo lievitare per altre 2 ore.
Trascorso il tempo ricominciate col secondo impasto, poi trasferite nella tazza della planetaria la pasta lievitata, aggiungete i tuorli, i 40 g di zucchero rimanenti, la scorza di arancia e i restanti 100 g di farina.
Impastate ancora per 5-10 minuti, fino a quando la planetaria non sarà pulita.
Dopodiché aggiungete i 75 g di burro restanti poco alla volta e, quando inglobato, trasferite poi l’impasto su una spianatoia e dividetelo in palline.
Aiutandovi con le mani arrotondate per bene l’impasto ottenendo così delle sfere. Riponetele su teglia rivestita di carta forno e lasciate lievitare per 2 ore ancora.
Una volta che gli impasti saranno ben gonfi praticate delle incisioni profonde a forma di Y.
Spennellate le superfici delle pinze con del tuorlo battuto ed il latte.
Cuocete a 165°C per 35 minuti in forno preriscaldato in modalità ventilata oppure in modalità statica a 180°C per 35 minuti.
A Trieste la Pasqua si festeggia con la tradizionale pinza triestina, un pandolce agrumato dal sapore delicato e caratterizzato da un’inconfondibile morbidezza. La sua dolcezza è leggera, cosa che la rende ottima sia a colazione e a merenda, magari con marmellata o cioccolata, ma anche accompagnata con prosciutto cotto o crudo. Vediamo come si prepara insieme a Chef Deg.
A vederla si direbbe un panettone basso, di colore scuro e lucido. È molto ricca di uova e di burro, con un’alveolatura piccola e tre classiche incisioni sulla cupola.
Tradizionalmente la preparazione della pinza triestina era un rituale che richiedeva molto tempo. Le massaie cominciavano i preparativi dalla mattina presto, facendo un primo impasto. Dopo una prima lievitazione, veniva fatto un secondo impasto e lasciato lievitare una seconda volta. Gli veniva poi data una forma tondeggiante e sulla superficie venivano fatti tre tagli a forma di Y, che simboleggiavano il martirio di Gesù. Dopo la cottura, la pinza veniva conservata fino a Pasqua, giorno in cui poteva essere consumata solo in seguito alla benedizione pasquale.
Come molti piatti tradizionali, anche la pinza non ha origini chiare. A contendersi la sua paternità sono le città di Trieste e Gorizia, dove è maggiormente diffusa.
Si trovano molte tracce della ricetta della pinza trentina in molti manuali di cucina cecoslovacca e austriaca. Il Friuli Venezia Giulia è stato infatti per anni un territorio al centro di tante influenze, assorbendo ed elaborando le tradizioni culinarie più diverse.
Nella sua opera Pellegrino Artusi parla della “pinza friulana” come di una focaccia di burro, zucchero e farina. Così come, ancora, nella cucina istriana la pinza compare come “tipo di panettone che si mangia per Pasqua”.