Lo street food cresce, ma ora servono delle regole
Preferiti
Condividi
Lo street food, cibo di strada, letteralmente, è un settore in crescita. Secondo il FAO, sarebbero circa 2,5 miliardi di persone, quelle che ogni giorno “mangiano in piedi”. Ma quali sono i fattori della sua fortuna nel Italia?
Lo street food, letteralmente cibo di strada, è un settore in crescita. Secondo il FAO, sarebbero circa 2,5 miliardi di persone, quelle che ogni giorno “mangiano in piedi”. Ma quali sono i fattori della sua fortuna in Italia?
Negli ultimi cinque anni, nel nostro Paese, il cibo di strada è cresciuto in modo esponenziale grazie anche all’influenza della moda statunitense dei truck, piccoli mezzi mobili (di frequente dal design accattivante), capaci di occupare gli spazi urbani a un costo contenuto. Stando ai dati del 2014, si calcola che a essere coinvolte nel settore food in Italia, siano ben 60.000 attività, delle quali 8,500 mobili, con una crescita annua del +10%. Alla base di questo successo, che a livello nazionale ha conquistato 570.000 persone, vi sono tre ragioni: la necessità di mangiare fuori casa per chi lavora, l’economicità del mangiare di strada ma anche, soprattutto tra i giovani, la moda (basti pensare che nel 2015 sono oltre 50 i festival a tema). Tra le nuove generazioni lo street food assume un aspetto sociale di aggregazione e non va trascurata la capacità del cibo di strada di riqualificare anche alcune zone cittadine come, ad esempio, il mercato storico di San Lorenzo a Firenze.
In Italia, del resto, più che di una tendenza passeggera, il mangiare di strada è una vera tradizione – dal panino con il lampredotto alla pizza a libretto, all’arancino solo per citare alcuni dei cibi più noti – e questo ritorno alle origini può costituire una vera miniera d’oro alla quale attingere per far ripartire un pezzo importante di economia nazionale. Non mancano, d’altronde, casi illustri come quello della piadina romagnola e della focaccia di Recco che, insieme al recente riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (Igp), hanno guadagnato la certificazione della qualità e maggiori possibilità nell’export internazionale.
Secondo Mauro Rosati, direttore generale di Qualivita – Fondazione per la protezione e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità, le opportunità di sviluppo non mancano di certo, ma è necessario strutturare maggiormente un settore che ha avuto un grande boom iniziale lontano dalle regole. Di vitale importanza secondo Rosati è, ad esempio, una riforma della legislazione che riguarda la qualità del cibo di strada. Questo per supportare, da un lato, gli street chef che utilizzano materia prima di qualità e, dall’altro, per offrire una maggiore sicurezza anche al consumatore su quello che si trova a mangiare. In questo modo la ristorazione di strada potrebbe offrire delle buone opportunità anche P.A.T., i prodotti agroalimentari tradizionali, che, selezionati dalle regioni e riconosciuti a livello nazionale, non sono ancora riusciti tuttavia a trovare un’adeguata visibilità e, con essa, un vero e proprio spazio di mercato.
di Alessandra Cioccarelli
Lo street food, letteralmente cibo di strada, è un settore in crescita. Secondo il FAO, sarebbero circa 2,5 miliardi di persone, quelle che ogni giorno “mangiano in piedi”. Ma quali sono i fattori della sua fortuna in Italia?
Negli ultimi cinque anni, nel nostro Paese, il cibo di strada è cresciuto in modo esponenziale grazie anche all’influenza della moda statunitense dei truck, piccoli mezzi mobili (di frequente dal design accattivante), capaci di occupare gli spazi urbani a un costo contenuto. Stando ai dati del 2014, si calcola che a essere coinvolte nel settore food in Italia, siano ben 60.000 attività, delle quali 8,500 mobili, con una crescita annua del +10%. Alla base di questo successo, che a livello nazionale ha conquistato 570.000 persone, vi sono tre ragioni: la necessità di mangiare fuori casa per chi lavora, l’economicità del mangiare di strada ma anche, soprattutto tra i giovani, la moda (basti pensare che nel 2015 sono oltre 50 i festival a tema). Tra le nuove generazioni lo street food assume un aspetto sociale di aggregazione e non va trascurata la capacità del cibo di strada di riqualificare anche alcune zone cittadine come, ad esempio, il mercato storico di San Lorenzo a Firenze.
In Italia, del resto, più che di una tendenza passeggera, il mangiare di strada è una vera tradizione – dal panino con il lampredotto alla pizza a libretto, all’arancino solo per citare alcuni dei cibi più noti – e questo ritorno alle origini può costituire una vera miniera d’oro alla quale attingere per far ripartire un pezzo importante di economia nazionale. Non mancano, d’altronde, casi illustri come quello della piadina romagnola e della focaccia di Recco che, insieme al recente riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (Igp), hanno guadagnato la certificazione della qualità e maggiori possibilità nell’export internazionale.
Secondo Mauro Rosati, direttore generale di Qualivita – Fondazione per la protezione e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità, le opportunità di sviluppo non mancano di certo, ma è necessario strutturare maggiormente un settore che ha avuto un grande boom iniziale lontano dalle regole. Di vitale importanza secondo Rosati è, ad esempio, una riforma della legislazione che riguarda la qualità del cibo di strada. Questo per supportare, da un lato, gli street chef che utilizzano materia prima di qualità e, dall’altro, per offrire una maggiore sicurezza anche al consumatore su quello che si trova a mangiare. In questo modo la ristorazione di strada potrebbe offrire delle buone opportunità anche P.A.T., i prodotti agroalimentari tradizionali, che, selezionati dalle regioni e riconosciuti a livello nazionale, non sono ancora riusciti tuttavia a trovare un’adeguata visibilità e, con essa, un vero e proprio spazio di mercato.
di Alessandra Cioccarelli