Parlare di cucina piemontese e pensare alla bagna caôda è un tutt’uno, ma molti non sanno che la famosa salsa ha antenati francesi, più che piemontesi! Sono molte le località che si contendono, infatti, la paternità del famoso piatto, ma i primi documenti che parlano di questo gustoso piatto risalgono al primo medioevo, quando nelle coste della bassa Provenza si preparava l’”anchoiade”; i primi a portarla in Italia, attraverso la famosa via del sale, bisogna riconoscerlo, furono i mercanti astigiani che nell’andare alla ricerca di sale e acciughe alle foci del Rodano, si imbatterono nel piatto e lo importarono in Italia. Comprare le acciughe salate era, d'altra parte, un escamotage utilizzato per portare in Italia il sale senza dover pagare i dazi.
L’antica ricetta provenzale fu poi adattata secondo gli usi, i gusti e soprattutto le risorse reperibili sul territorio. Per molto tempo, e forse per certi versi ancora oggi, la bagna caôda è stata guardata con disgusto dalle classi superiori, a causa della massiccia presenza di aglio – i puristi ne utilizzano una testa a persona – e , presumibilmente per questo motivo, per averne traccia scritta bisogna attendere il 1875, quando il romanziere Roberto Sacchetti la descrive per come la conosciamo oggi. In realtà nel mondo contadino la bagna caôda non è considerato un piatto povero quanto piuttosto un piatto conviviale preparato per celebrare, ad esempio, la fine della vendemmia.
Gli ingredienti necessari sono le acciughe, rigorosamente le rosse di Spagna, almeno tre a testa, l’aglio in misura variabile, da una testa pro capite, come vuole la ricetta monferrina a uno spicchio a persona più uno per la pentola come si usa nelle moderne rivisitazioni, e l’olio. Anche sull’olio c’è parecchio da dibattere, molti sostengono che la vera ricetta dovrebbe contemplare olio di noci e non di oliva perché le coltivazioni di oliva sono liguri e non piemontesi, in realtà molti documenti rilevano la presenza di uliveti fino al XVII secolo, pertanto è ragionevole pensare che l’olio di oliva sia il più adatto alla ricetta. La preparazione della bagna caôda ha regole ben precise che vanno rispettate alla lettera o quasi per non travisare la ricetta degli antichi vignaioli. Le acciughe vanno dissalate, pulite in acqua e vino, asciugate e diliscate. L’aglio, secondo la tradizione non va bollito nel latte, ma a questa regola si fa spesso eccezione per renderlo più digeribile, e andrebbe solo privato del germoglio, tagliato a fettine sottilissime e lasciato a riposare in una zuppiera di acqua fredda.
Di olio se ne calcola almeno mezzo bicchiere a testa e le verdure devono essere quelle che oggi vengono definite a chilometro zero, proprie del territorio, ma a anche sugli ortaggi si dibatte: i puristi non vorrebbero né sedano né finocchi perché troppo aromatici, ma solo i cardi gobbi di Nizza, o gli spadoni di Chieri, i peperoni quadrilobati di Carmagnola, crudi o arrostiti, topinanbour, cavoli verza barbabietole e cavolfiori eccezion fatta per quello romanesco, per carità, ma la verità è che si può intingere tutto quello che si desidera. C’è anche chi a fine pasto rompe un uovo e lo frigge nell’olio rimasto.
La cottura deve essere breve e a fuoco molto basso, per questo è importante che l’aglio venga tagliato sottile, in modo che si sciolga in poco tempo. Inutile dire che il piatto va accompagnato con un vino rosso, robusto. Il barbera nuovo è quello che consigliano i vignaioli, ma nulla vieta di usare la fantasia e scegliere il preferito tra i nobili vini piemontesi.
di Silvia Galli